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OSHO.

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Mai nato
mai morto
ha solo visitato questo pianeta Terra
dall’11 dicembre 1931 al 19 gennaio 1990

OSHO è un Maestro di Realtà contemporaneo che ha dedicato la vita al risveglio della consapevolezza. E per rompere il sonno della coscienza che collettivamente ci costringe a vivere in una caverna psicologica fatta di sogni, speranze, illusioni e delusioni è vissuto ideando espedienti, strategie, metodi e tecniche di rara efficacia per tornare a connettersi con la propria vera essenza, sprigionandone tutte le potenzialità e i talenti.

Libero da qualsiasi appartenenza – religiosa, culturale, politica, etnica – non ha lasciato nulla di intentato per richiamare altri esseri umani alla piena responsabilità di se stessi e al vero destino cui tutti siamo chiamati, proprio come specie che si pone come il punto culmine in cui l’universo prende coscienza di sé.

Nato in India, negli anni Sessanta del secolo scorso acquistò la fama di “pensatore d’urto” girando il Paese in lungo e in largo, tenendo discorsi e dibattiti fortemente provocatori per lo status quo politico e religioso, proprio perché ne obiettava i valori e metteva in evidenza le segrete strategie di dominio e controllo che inibiscono la piena fioritura della scintilla che ci rende umani.

A quanti, tra gli ascoltatori, si accompagnarono a lui, colpiti da “qualcosa” nella sua presenza che va al di là delle parole, Osho offrì tecniche di Meditazione Attiva – OSHO Active Meditations –, strumenti propedeutici oggi di largo utilizzo in tutto il mondo, perché rispondenti all’equilibrio psicofisico e alla mente iperattiva che ormai imperano ovunque nel mondo.

Questi metodi, unici nel loro genere, corrispondono perfettamente al bisogno primario che ci contraddistingue collettivamente – allorché si decidere di prendere coscienza di sé – di rilasciare prima di tutto le tensioni e lo stress accumulato nel nostro corpomente, così da rendere possibile e più facile fare poi un’esperienza di immobile e quieta presenza, tale da permettere di introdurre nella vita quotidiana uno spazio di rilassamento libero dai pensieri.

Inoltre, ha dato forma a una vera e propria rivoluzione, nella millenaria scienza della dimensione interiore, trasformando l’antica “arte dell’ascolto” che da sempre accompagna la tradizione orale, con cui i mistici di ogni epoca e Paese trasmettono la comprensione e la visione del Vero, in una metodologia di rara efficacia.

Spirito ribelle e indipendente, fin dall’Infanzia Osho ha ricercato nell’esperienza la sua comprensione, disdegnando qualsiasi sapere o credenza altrui. Una ricerca della verità “folle”, spontanea e oltre qualsiasi confine che lo ha portato a vivere, all’età di 21 anni il pieno risveglio che l’Oriente conosce come illuminazione.

Evento da lui commentato così: «Adesso non cerco altro. L’esistenza mi ha aperto tutte le porte… Quando un fiore sboccia, anch’io sboccio. Quando il sole sorge, io sorgo con lui. Il mio corpo è parte della natura, il mio essere è parte del Tutto».

Profondo osservatore dell’animo e dell’essere umano, Osho ha creato a Pune, in India, un laboratorio di crescita oggi evolutosi come Resort di Meditazione, luogo in cui è possibile sperimentare la sua proposta esperienziale in tutta la sua pienezza.

Nei suoi discorsi Osho ha affrontato praticamente ogni aspetto dello sviluppo della consapevolezza umana, con l’intento di rendere accessibile all’uomo moderno il patrimonio di comprensioni che caratterizzano quella philosophia perennis che accompagna la nostra evoluzione da sempre.

Tuttavia, ha voluto chiarire il suo profondo essere sconnesso da qualsiasi tradizione: «Io rappresento l’inizio di una consapevolezza religiosa totalmente nuova» ha spiegato. «Vi prego di non collegarmi al passato – non vale neppure la pena ricordarlo.»

Inoltre, per evitare la comune abitudine di strutturare qualsiasi visione del Vero in una tradizione e in un dogma, ha anche chiarito: «Il mio messaggio non è una dottrina, non è una filosofia. Il mio messaggio rappresenta una forma di alchimia, una scienza della trasformazione, cosicché solo coloro che sono pronti a morire nella loro condizione attuale e a rinascere in una dimensione così nuova che non riescono neppure a immaginarla in questo momento… solo queste poche persone coraggiose saranno pronte ad ascoltare.»

Un mistero e una fragranza che ne rende viva la presenza anche dopo la sua dipartita, e che pare corrispondere alla sua adamantina certezza che l’opera da lui intrapresa non si sarebbe esaurita con la sua morte: «La mia fiducia nell’esistenza è assoluta. Se esiste una qualsiasi verità in quello che dico, sopravviverà. Coloro che sono interessati al mio lavoro ne terranno viva la fiamma, senza imporre nulla ad alcuno, né con la spada né con la falsa carità. Continuerò a essere una fonte di ispirazione per la mia gente, e questo è ciò che la maggior parte dei ricercatori del Vero che si sono accompagnati a me sentirà.

Io voglio che coltivino per conto loro qualità come l’amore, la consapevolezza, attorno alle quali non si può creare nessuna chiesa; qualità che non sono monopolio di nessuno, come la celebrazione, la gioia, il mantenere gli occhi innocenti di un bambino. Voglio che le persone conoscano se stesse, senza seguire nessun altro. E la via è dentro di sé.»

IO SONO UN INVITO…

Una risposta alal domanda che non può essere chiesta

(Video sottotitolato in italiano)

OSHO: A Courageous Jump into the Ocean of Life

 

IL SEGRETO E IL MISTERO DIETRO LE MIE PAROLE

(Video sottotitolato in italiano)

OSHO TALKS: Why I am Talking – a Reminder

“Il modo in cui parlo è un po’ strano. Nessun oratore al mondo parla come me; da un punto di vista tecnico è sbagliato, richiede in pratica il doppio del tempo! Ma un oratore ha uno scopo diverso, il mio intento è del tutto diverso. Gli oratori parlano perché si sono preparati: si limitano a ripetere qualcosa per cui hanno fatto delle prove; secondo, parlano per importi una particolare idea o ideologia. Terzo il loro parlare è un’arte che continuano a raffinare.

Il mio scopo è davvero unico: uso le parole solo per creare degli spazi di silenzio. Le parole non sono importanti, per cui posso dire qualsiasi cosa contraddittoria, fuori luogo, slegata dal contesto, perché il mio scopo è solo creare degli spazi vuoti.

Le parole sono secondarie, i silenzi tra quelle parole sono primari: questo è solo un espediente per darti un’intuizione, un bagliore della meditazione. E una volta che sai esserti possibile, hai viaggiato a fondo, nella direzione del tuo essere.

La maggior parte delle persone del mondo non pensano che sia possibile alla mente essere in silenzio; e poiché pensano che sia impossibile, non ci provano.”

Osho The Invitation #14

NON PROVARE A ETICHETTARMI!

Amato Osho,
tu sei uno yogin, un bhakta, un gyani o un tantrikp-osho2a?
“Nessuna di queste sciocchezze!

Non provare a etichettarmi, a categorizzarmi. La mente vorrebbe inserirmi in qualche casella, così da poter dire: «Ecco cos’è quest’uomo» e chiuderla lì. Ma non sarà così facile, non lo permetterò! Resterò come il mercurio: più cercherai di afferrarmi, più diventerò sfuggente. Io sono tutto o niente: sono ammesse soltanto queste due categorie, tutte le altre non vanno bene, perché non dicono la verità; e quando capirai che io sono tutto o niente, per te sarà un grande giorno di comprensione.

Lascia che ti racconti una storia che stavo leggendo proprio ieri…


Nel suo libro Il paese dei ciechi, H.G. Wells racconta di un viaggiatore che arrivò in una strana valle, isolata dal resto del mondo grazie a pareti scoscese e abitata esclusivamente da ciechi: la valle dei ciechi.

Per un po’ di tempo, il viaggiatore visse in questa strana valle, e gli abitanti lo considerarono un eccentrico. Gli esperti sentenziarono: «Il suo cervello è condizionato da quelle bizzarre cose chiamate “occhi”, che lo tengono in uno stato di perenne irritazione e distrazione». La loro conclusione fu che non sarebbe mai stato normale, sino a quando i suoi occhi non fossero stati rimossi. «È necessario un intervento chirurgico, e urgentemente» conclusero gli esperti.

Poiché erano tutti ciechi, non potevano concepire un uomo con gli occhi. Per rendere quest’uomo normale, bisognava eliminare ciò che aveva di anomalo.

Il viaggiatore si innamorò di una donna cieca, la quale lo scongiurò di cavarsi gli occhi, affinché potessero vivere felici insieme.

«Se non ti levi gli occhi», disse la donna, «la mia comunità non ti accetterà. Tu non sei normale, sei troppo strano. Ti è capitata qualche disgrazia; nessuno ha mai sentito parlare di questi occhi: prova a chiedere in giro. A causa loro, resterai un estraneo e non mi sarà concesso di vivere con te. Anch’io ho un po’ paura di te: sei troppo diverso, sembri un alieno».

Alla fine, la donna stava quasi per convincerlo a privarsi degli occhi per poter vivere insieme. Infatti, lui si era innamorato e per l’attaccamento a questa ragazza era pronto ad accecarsi. Un giorno, però, quando ormai stava per decidersi, vide il sole sorgere sulle rocce, il prato risplendere di fiori bianchi e capì che non sarebbe potuto essere felice nella valle del buio. Si arrampicò sulle rocce e fece ritorno alla terra in cui gli uomini camminano nella luce.

Il Buddha, Gesù, Krishna e Zarathustra sono uomini dotati di vista nella valle dei ciechi. A prescindere dal nome che usi – yogin, buddha, jaina, Cristo, bhakta –, tutte queste categorie indicano semplicemente che persone come quelle sono diverse da te, possiedono una vista differente dalla tua, hanno occhi in grado di vedere qualcosa che tu non scorgi.

Però questo ti offende; ecco perché all’inizio fai resistenza, anche se cominci a seguirli. Infatti, la loro visione suscita in te un profondo anelito, nonostante la tua opposizione.

p-osho9In profondità, la tua natura ti sussurra che quegli occhi sono possibili anche per te. In superficie, continui a negarlo; sotto sotto, qualcosa ti dice che forse hai torto.

È possibile che siano quegli occhi a essere normali, mentre tu sei anormale. Fare parte di una maggioranza non ti mette automaticamente dalla parte della verità.

Queste persone vanno ricordate semplicemente come uomini dotati di vista in una valle di ciechi.

Io sono qui tra voi. Conosco le vostre difficoltà, perché ciò che vedo, sento e tocco, voi non potete vederlo, sentirlo né toccarlo. So che, se anche riuscissi a convincervi, in profondità avreste dei dubbi: «Chissà? Forse quest’uomo sta solo fantasticando. Oppure ci sta ingannando… chi può dirlo?». Infatti, come puoi fidarti prima che tutto ciò non sia diventato un’esperienza anche per te?

A te piacerebbe etichettarmi. Così almeno disporresti di un nome, di un’etichetta, e ti sentiresti a posto. Poiché mi hai incasellato, ti sembrerebbe di conoscermi: «Ecco uno yogin».

Adesso ti sembra di sapere, non provi più disagio. Dando nomi, la gente ha la sensazione di sapere. Questa è un’ossessione.

Quando un bambino ti chiede: «Che fiore è questo?», è in difficoltà con il fiore, perché attraverso di lui può percepire l’ignoto. C’è qualcosa che lo rende consapevole della sua ignoranza.

Allora gli dici: «Questa è una rosa» e lui è contento. Ripete il nome: «Questa è una rosa, questa è una rosa». Felicissimo, va dagli altri bambini a dire: «Guarda, questa è una rosa». Ma cos’ha imparato, in realtà? Solo un nome. Ora però è tranquillo, non si sente più ignorante; o almeno non può più avvertire la propria ignoranza. Adesso è bene informato, è istruito; non ci sono più misteri, la rosa non è più l’ignoto che affiora nel noto: è diventata parte di quest’ultimo. Ma cosa hai fatto, in realtà, assegnandole un nome, chiamandola “rosa”?

Ogni volta che incontri uno sconosciuto, chiedi subito: «Come ti chiami?». Perché? Come mai non riesci a vivere con ciò che è senza nome? Eppure, tutti sono senza nome; nessuno viene al mondo con un nome: nasciamo tutti anonimi.

Ma non appena nasce un bambino, la famiglia pensa a quale nome imporgli. Come mai tanta fretta? Perché ancora una volta nel tuo mondo è entrato uno sconosciuto: lo devi etichettare. E non appena lo fai, provi soddisfazione: ora sai che costui è Rama, Rahim o un qualsiasi altro nome.

Tutti i nomi sono assurdi. E questo neonato è senza nome, come dio. Però occorre darglielo, perché la mente umana ha un’ossessione: una volta che hai assegnato un nome a una cosa, la conosci. Fine della storia.

La gente viene a chiedermi: «Chi sei? Un hindu, un giainista, un musulmano, un cristiano?». Se riesce a etichettarmi, è soddisfatta: adesso mi conosce. La parola “hindu” creerà una sensazione, errata, di conoscenza.

Anche tu mi chiedi: sei uno yogin, un bhakta, un gyani o un tantrika? Se riuscissi a trovare un nome, ti sentiresti a posto. Potresti rilassarti, non ci sarebbero più problemi.

Ma davvero mi conosceresti, assegnandomi un nome? Se mi vuoi conoscere davvero, per favore non introdurre nomi tra me e te; abbandona tutte le categorie e osserva direttamente.

Lascia che i tuoi occhi siano aperti e privi di polvere; guardami senza alcun sapere, senza nessuna cultura. Abbi uno sguardo semplice e innocente, privo di idee e pregiudizi: allora potrai vedere in profondità e io diventerò trasparente. Questo è l’unico modo di conoscermi, è il solo modo di entrare in contatto con la realtà.

Guarda la rosa, l’albero, la vegetazione e dimentica le parole “rosa”, “albero” e “vegetazione”. Immediatamente, ti accorgerai di una strana presenza intorno a te.

Quella presenza è il divino.

Dio, etichettato, diventa il mondo; il mondo, tornato privo di etichette, si trasforma in dio. Dio, condizionato dalla tua mente, si tramuta nel mondo; il mondo – di nuovo incondizionato, destrutturato e ignoto – diventa dio.

”Osservami senza alcuna parola.”

OSHO: Yoga: The Science of Living, Volume 7

“MI RICONOSCERAI SOLO QUANDO AVRAI CONOSCIUTO E COMPRESO TE STESSO”

QUELLO CHE NON HANNO MAI DETTO DI OSHO E CHE NESSUNO TI POTRÀ MAI DIRE, SE NON GUARDANDOSI INTIMAMENTE NEL PROPRIO ESSERE.

“Sono una persona che medita, ho sentito qualcosa – prima ancora di incontrare Osho – che potrei definire “la luce dell’esistenza”. Cosa vuol dire è diverso per ciascuno, nella mia ricerca di un significato posso definirla così: una goccia che vede e sente di essere l’oceano. Ma che vive rinchiusa nel suo essere una goccia… difficile definire il disagio e quant’altro quello stato d’essere comporta.  Poi un giorno la vita mi ha avvicinato a Osho. E mi sono trovato di fronte all’evento, temuto e cercato… l’oceano che mormorava o furoreggiava in una goccia!

Da allora, per 40 anni, è stato un gioco a nascondino. Con picchi di luce e abissi vertiginosi… con lui che, fermo nella sua quiete, mi portava a “vedere”, e poi mi diceva: “Adesso prova a farlo da solo”. Impossibile narrare quel vissuto con Osho… di certo non ho avuto tempo per seguire tutto ciò che di lui si diceva, si mormorava, si chiacchierava. Una sola cosa mi è certa, visto che anch’io un po’ mi sono perso in quel gioco: ciò che si dice di lui, rivela molto di chi ne parla e dice. Poco o nulla di Osho in quanto tale, che ha detto:

p-osho11“Mi riconoscerai solo quando avrai conosciuto e compreso te stesso”.

E quello è vero! Per mia comodità, per egoismo, per disperato bisogno e anelito folle l’ho definito in tanti modi… e lui non si è mai “piegato”, né mai si è sentito in bisogno o dovere di corrispondere… un’integrità che ben lo descrive, in grado di includere tutto il bene e tutto il male che si è proiettato su di lui.

La vera domanda è: perché lo si fa?
Personalmente, credo che il motivo sia semplice. Di nuovo, è riferito a me stesso: molti “saltini quantici” che Osho mi ha portato a fare, hanno richiesto di vedere e di fidarmi di qualcosa di me che andava al di là di ciò che credevo, pensavo, volevo essere. In pratica, lui si poneva come uno specchio, lucido e limpido al punto tale da spazzar via proiezioni, sogni, speranze – ma anche rimpianti e perenni sabotazioni – con cui, umanamente, si tende a colorare e riempire la propria esistenza.

Osho mi ha riempito e svuotato, incitandomi a vivere in pienezza, tutto ciò che l’esistenza mi ha messo davanti. E poi, al culmine di quello che per me era “il picco”, quando pensavo: “Adesso sono proprio arrivato”, mi ha tolto orizzonte dopo orizzonte… insegnandomi, dunque, che la vita è un viaggio… e in quanto tale non ha alcuna meta.

Non è cosa facile da accettare. È peggio di una bomba atomica… proprio perché ti “atomizza” (frantuma tutti i tuoi sogni, lasciandoti solo con te stesso. Qualcosa che non avrà mai nome, né forma). Difficile scendere a patti con qualcosa di simile. Da qui le due cose: o si intraprende un viaggio, oppure si cerca di sminuire, calunniare, giudicare, distorcere quell’essere. Rendendolo “simile a noi”.

E in quel gioco ci si perde, sia alimentandolo sia contestandolo. Perché intanto il tempo passa e un giorno ci si trova di fronte al grande salto nell’ignoto – che molti chiamano morte, e che è visto come la fine dei giochi. Meglio non sprecare tempo, e cercare dentro di sé “ciò che non muore mai”. Ovvero quella vita che vibra in noi come eco perenne dell’esistenza.

E ringraziamo Osho, se ci è utile, ad alimentare quell’intima connessione con noi stessi.
Altrimenti non perdiamo tempo e cerchiamo, cerchiamo, cerchiamo… perché nulla è garantito: oggi stesso potrebbe essere il giorno della prova. E se non si è pronti, essendo la vita una scuola, ci si ritroverà a ripetere e ripetere e ripetere gli stessi vecchi giochi di sempre.

Se piace, o se non ci sono “segnali” che indicano la possibilità di un altro percorso esistenziale, benissimo… magari a qualcuno quel perenne cadere, penare, rialzarsi per cadere e penare di nuovo è venuto a noia. Un lampo si potrebbe accendere… una persona simile potrà solo essere grata nell’incontro di qualcuno che è uscito alla vita, risvegliandosi.
E, poiché la risposta non è là fuori, ma dentro di te. Potresti chiederti: quale buon uso posso fare di Osho? Se non ne vedi nessuno, va’ e cerca qualcun altro in grado di essere per te un trampolino di lancio. Una soglia che ti permetta di uscire alla vita, risvegliandosi.

Perché è nel tuo risveglio, la risposta a ogni tuo dubbio o domanda.

 Lettera aperta da un Discepolo che ha vissuto con Osho fin dagli anni ’70